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  • Samantha Pilati

Nell'occhio del ciclone



Harvey, Irma, Maria… Nelle ultime settimane gli uragani sono stati spesso alla ribalta delle cronache, a causa delle catastrofiche notizie a loro collegate in arrivo dalle isole caraibiche e dagli Stati Uniti.

Ma come ha origine questo fenomeno meteorologico? E che differenza c’è tra uragani, cicloni, tifoni?

Per prima cosa bisogna specificare che ciclone, uragano o tifone sono fondamentalmente sinonimi: essi si riferiscono tutti ad un ciclone tropicale, vengono semplicemente utilizzate nomenclature differenti a seconda della zona di appartenenza. Uragano indica i cicloni del bacino Atlantico e del Pacifico settentrionale a est della linea del cambiamento di data; tifone è utilizzato nella zona del Pacifico nord-occidentale, mentre nell’oceano Indiano si parla in maniera generica di cicloni; esistono anche terminologie meno note, come per esempio willy-willy per i cicloni del bacino australiano.

Sviluppo di un ciclone tropicale

I cicloni tropicali sono profondi centri di bassa pressione, attorno ai quali ruotano i venti, in senso antiorario nell’emisfero boreale e in senso orario in quello australe. La loro formazione è favorita dalle acque oceaniche calde: la temperatura dell’acqua elevata (oltre i 26-27°C per diversi metri dallo strato superficiale), difatti, riscalda l’aria in contatto con la superficie marina, favorendo quindi lo sviluppo di moti convettivi e, conseguentemente, di nubi temporalesche cariche di pioggia; è inoltre necessaria la presenza di una perturbazione preesistente in loco che faccia da ulteriore innesco per lo sviluppo dei moti verticali e, che direzione e intensità del vento abbiano una scarsa variazione con l’aumentare della quota.

In questa prima fase di sviluppo non si parla ancora di ciclone, ma semplicemente di depressione tropicale.

Il tipico moto rotatorio intorno al centro di bassa pressione è dovuto alla forza di Coriolis, che devia le masse d’aria che sarebbero altrimenti dirette semplicemente verso il centro depressionario.

Quando i venti all’interno della depressione superano i 62 km/h si inizia a parlare di tempesta tropicale. Le tempeste tropicali si sviluppano tendenzialmente tra il 10° e il 25° parallelo; all’equatore, invece, a causa dell’assenza della forza di Coriolis, non trovano situazioni favorevoli al loro accrescimento. Esistono comunque rari casi di cicloni che si sono sviluppati anche al di sotto dei 10° N, come ad esempio l’uragano Ivan nel 2004, uno dei più forti uragani di sempre.

Al centro del sistema perturbato, dove si misura il più basso valore di pressione, è presente l’”occhio”, una zona in cui, a causa dei moti descendenti, della subsidenza e della forza centrifuga, è ostacolata la formazione di nubi e piogge; essa è quindi caratterizzata da venti deboli e scarsa presenza di nuvole (talvolta il cielo risulta addirittura sereno).


Focalizzando l’attenzione su quello che avviene in particolare nell’oceano Atlantico o nel Pacifico nord-orientale, una tempesta tropicale viene definita uragano quando il vento supera i 119 km/h (74 miglia all’ora). Gli uragani, poi, a loro volta, vengono distinti in 5 categorie, a seconda della forza del vento, tramite la scala Saffir-Simpson: al di sopra dei 178 km/h rientrano la terza, la quarta e la quinta categoria e si parla, in questo caso, di major hurricane. Ad ognuna delle 5 categorie viene associata una misurazione empirica dell’entità dei danni che si possono verificare: gli uragani di categoria 5, i più disastrosi, sono associati a inondazioni delle zone costiere, caduta e sradicamento di alberi e pali, danni gravissimi agli edifici o addirittura crolli; spesso le zone colpite da uragani di tale potenza risultano inabitabili per settimane o mesi.

Gli uragani tendono ad indebolirsi spostandosi verso le maggiori latitudini, dove l’acqua del mare è più fredda, o spostandosi sulla terraferma, dove non ricevono più l’apporto del calore e dell’umidità delle calde acque tropicali. Al contrario, un aumento delle temperature marine favorisce lo svilupparsi di tempeste e uragani particolarmente estesi e potenti, come nel caso di Irma, il cui occhio raggiungeva i 60 km di diametro e il diametro totale era di 645 km; o addirittura Matthew, che nel 2016 raggiunse gli 800 km!


Nomi delle tempeste tropicali nell’Atlantico

Solo quando una depressione raggiunge lo stato di tempesta tropicale le viene assegnato un nome. Questi nomi vengono decisi dal WMO (Organizzazione Mondiale della Meteorologia) che ha stilato sei elenchi di nomi, con una alternanza tra nomi maschili e nomi femminili; essi si ripetono successivamente trascorsi i 6 anni: quest’anno, ad esempio, si sta utilizzando la medesima lista del 2011, che verrà poi ripresa nel 2023. Se, tuttavia, un uragano è stato particolarmente violento e catastrofico, il suo nome verrà depennato dalla lista e sostituito con uno nuovo, come è stato per esempio con Katrina nel 2005, sostituito in seguito da Katia.

In annate particolarmente prolifiche di uragani la lista può non essere sufficiente e in tal caso si ricorre, per i nomi successivi, alle lettere dell’alfabeto greco: è così che nel 2005 abbiamo avuto le tempeste Alfa, Gamma, Delta e Zeta e gli uragani Beta ed Epsilon.

Le depressioni tropicali, invece, non hanno un vero e proprio nome, ma vengono indicate con un numero: Tropical Depression Four significa che è la quarta depressione tropicale dall’inizio dell’anno; non tutte le depressioni riescono a dare vita ad una tempesta tropicale o ad un uragano, talvolta esse si esauriscono precedentemente.


Curiosità

La stagione degli uragani ufficialmente va dal 1 giugno a 30 novembre (con un picco di fenomeni tra agosto e ottobre), ma non è così insolito che si verifichino tempeste e cicloni anche al di fuori di questi mesi: nel 2016, ad esempio, il primo uragano dell’anno, Alex, si verificò addirittura in gennaio!

Gli uragani atlantici, che interessano prevalentemente le isole caraibiche, il golfo del Messico e le coste meridionali degli Stati Uniti, possono talvolta raggiungere l’Europa occidentale, anche se declassati a semplici depressioni tropicali o, più spesso, cicloni post-tropicali (una dicitura utilizzata per indicare quelle tempeste che non possiedono più caratteristiche prettamente tropicali): è successo per esempio nel 2011, con Irene; ed è quello che molto probabilmente succederà anche con la tempesta Maria e l’uragano Lee, che faranno sentire i loro effetti sulle isole britanniche e sulle coste dell’Europa nord-occidentale.

Ma anche quando tali sistemi non raggiungono direttamente il Vecchio Continente, la loro presenza nell’Atlantico influenza comunque le condizioni meteorologiche europee.


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