È la fisica, baby…
- Antonello Pasini

- 54 minuti fa
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di Antonello Pasini
Fisico del clima, CNR
Direttore scientifico di Fondazione Osservatorio Meteorologico Milano Duomo
Uno degli scopi principali della moderna scienza del clima è quello di comprendere e prevedere come si modificheranno i fenomeni atmosferici in un mondo che sta diventando sempre più caldo a causa degli influssi antropici. Per riuscire in questo intento, gli strumenti base che si adottano oggi nella ricerca sono sofisticati modelli climatici, con cui – nei più potenti calcolatori del mondo – si fanno simulazioni sul comportamento del clima reale.
In questi modelli si considerano ovviamente le complesse relazioni che intervengono tra i vari sottosistemi del sistema clima, la sua dinamica e variabilità naturale, e i cambiamenti che vi avvengono a causa delle variazioni negli influssi (forzanti) naturali e antropici, esterni al sistema. Tutto ciò consente di ricostruire in maniera soddisfacente il clima del recente passato e di giungere a proiezioni del prossimo futuro in diversi scenari di emissione.
Oggi esistono almeno una decina di modelli climatici globali che forniscono proiezioni molto convergenti per i valori di riscaldamento globale futuro in molte zone del pianeta e mostrano alcune divergenze (meno sostanziali) su qualche regione. A questo proposito vorrei sottolineare come tali divergenze siano dovute soprattutto a differenze nella dinamica simulata delle correnti marine e aeree all’interno dei singoli modelli.

Occorre comprendere, infatti, che i modelli climatici sono costituiti da una parte che descrive lo scambio di materia ed energia tra i vari sottosistemi (che possiamo chiamare termodinamica) e da una parte che descrive gli spostamenti di massa (che chiamerò, per semplicità, dinamica).
I risultati – in termini di correnti d’aria e marine – di quest’ultima parte dipendono criticamente da piccole differenze nei risultati della parte termodinamica nei vari modelli. Ecco, quindi, che sulle circolazioni i risultati dei vari modelli mostrano più differenze tra loro. Ovviamente tutto ciò è critico per stabilire con accuratezza la frequenza di certe situazioni meteorologiche nel clima futuro.
Ma la frequenza delle situazioni meteorologiche pilota anche la frequenza degli eventi meteo-climatici. Ad esempio, una zona che in futuro fosse interessata di più da situazioni anticicloniche vedrebbe un riscaldamento amplificato, maggiore frequenza di eventi siccitosi, ma minore frequenza di eventi perturbati. Non dappertutto sappiamo dare un’informazione dettagliata su questi aspetti nei nostri modelli, ma in certe zone sì. Un esempio caratteristico è quello del Mediterraneo: qui, infatti, sostanzialmente tutti i modelli mostrano un’amplificazione verso nord della circolazione equatoriale e tropicale e una frequenza di ingresso sempre maggiore dei caldi anticicloni africani. Studi recenti mostrano che saremo sempre più “protetti” da questi anticicloni e che i cicloni extratropicali interesseranno di meno il Mare nostrum.
In altre zone del pianeta la situazione della circolazione futura è meno chiara, e quindi così è per la frequenza dei fenomeni. Ma ovunque è chiarissima la situazione dell’intensità dei fenomeni, soprattutto di quelli estremi, siano essi di ondate di calore e siccità o di precipitazione violenta. E questo accade perché ciò è legato specificatamente alla termodinamica del sistema clima, che è più sicura. Addirittura, non ci sarebbe bisogno di ricorrere a sofisticati modelli climatici: la fisica di base ci dice cosa può succedere.
In poche parole, se continua ad aumentare il riscaldamento globale, le acque di mari e oceani, più calde, evaporeranno di più e forniranno maggiore calore, cioè energia, all’atmosfera. Esistono sistemi atmosferici come i cicloni tropicali che “si nutrono” direttamente di questo calore in eccesso, ma, anche dove non si possono formare questi mostri, l’aria anch’essa più calda può contenere maggiori quantità di vapore acqueo, secondo la legge di Clausius-Clapeyron, e dunque includere maggiori quantità di acqua precipitabile. Tutto ciò sfocia necessariamente in precipitazioni più intense: nel Mediterraneo, ad esempio, potremo aspettarci meno cicloni extratropicali, ma più violenti.
In sostanza, anche solo facili conti a partire dalla fisica di base ci consentono di comprendere come in un mondo più caldo i fenomeni estremi debbano essere necessariamente più intensi. Un altro esempio è quello della siccità, che, anche a parità di piogge, aumenterà comunque per il maggiore riscaldamento dei suoli, che favorisce maggiore evaporazione dal terreno e più grande evapotraspirazione dalle piante.
Siamo a ridosso di Natale (approfitto per inviare i miei migliori auguri di buone feste) e in questo periodo tornano spesso in TV anche vecchi film in bianco e nero. “That’s the press, baby!”: è l’iconica battuta di Humphrey Bogart sul potere e l’ineluttabilità del giornalismo, pronunciata nel film “L’ultima minaccia” mentre la rotativa stampava il giornale con un’inchiesta contro un boss criminale che aveva cercato di metterla a tacere.
Nel nostro caso forse è proprio il caso di dire “È la fisica, baby”. Da questo non si scappa: se continuiamo a far aumentare la temperatura del pianeta, non potremo nulla contro l’ineluttabilità della fisica che renderà gli eventi estremi più intensi e violenti.






















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