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  • Redazione FOMD

Siamo meteorologicamente pronti? L'intervista a Filippo Thiery



Il 23 marzo 2018 si celebra la Giornata Mondiale della Meteorologia: il tema di quest’anno “Weather-ready, climate-smart, water-wise” sottolinea l’importanza di essere pronti e preparati per far fronte agli eventi estremi meteorologici, sempre più intensi e frequenti, e ai cambiamenti climatici che stanno interessando il Pianeta. Come conseguenza, aumentano i pericoli e i rischi associati ai fenomeni naturali, cui sono esposti i beni della collettività e, soprattutto, la popolazione.


Raccogliendo lo spunto offerto dal WMD 2018, abbiamo voluto puntare il focus sul nostro Paese e fare il punto della situazione in Italia, sia per quanto riguarda il funzionamento del Sistema di Allerta Nazionale, fondamentale per contenere gli effetti di danno e ridurre i rischi, sia soprattutto sulla necessità della diffusione tra i cittadini della cultura del rischio, in questo caso fortemente legata alla cultura meteo-climatica.


Per farlo abbiamo coinvolto Filippo Thiery, meteorologo, funzionario del Dipartimento Nazionale di Protezione Civile e divulgatore scientifico.


FOMD: Partiamo dalle basi e cominciamo a parlare del Servizio Nazionale di Protezione Civile, che in Italia, fra le varie attività, oltre a quelle volte al soccorso alle popolazioni colpite da una calamità e al superamento dell'emergenza, svolge anche quelle finalizzate alla previsione e prevenzione dei rischi.

Filippo, ci puoi spiegare com’è organizzato questo Servizio e come avviene la diramazione delle allerte in caso di rischio?


F.T.: Il Servizio Nazionale della Protezione Civile è basato sull’ordinamento federalista della nostra Repubblica che è stato introdotto con la legge di revisione costituzionale del 2001.


Il sistema nazionale di allertamento, che segue l’architettura del Servizio Nazionale della Protezione Civile, è organizzato in un sistema distribuito e articolato che concilia il rispetto delle autonomie locali con la necessità di un coordinamento centrale. In questo modo, oltre a valorizzare la capillare conoscenza del territorio, disponibile a livello regionale e delle Province autonome, si favorisce l’interazione di queste ultime con le autorità locali, i Sindaci per intenderci, responsabili in primis del servizio di Protezione Civile sui propri cittadini e con l’obbligo di agire concretamente in tempi rapidi sulle singole situazioni del proprio Comune. Elementi, questi, fondamentali in un Paese dal territorio così variegato e complesso.


FOMD: In effetti, il territorio italiano ha delle caratteristiche che è bene sottolineare...


F.T.: Precisamente. Il nostro Paese ha un territorio geomorfologicamente molto complesso e vulnerabile, reso ancor più fragile dalla stratificazione di secoli di urbanizzazione, poco attente alle problematiche del rischio, cui si è aggiunto il fenomeno del graduale abbandono delle aree rurali e montane, che ha ulteriormente impoverito la capillare manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua.

Il clima, in Italia, è altrettanto intricato e variegato: dalla Vetta d'Italia a Lampedusa, rasentiamo il napoleonico "dalle Alpi alle Piramidi" quanto a estensione latitudinale. Peraltro, avendo un bacino chiuso come il Mediterraneo, una barriera come le Alpi, un catino come la Pianura Padana, un gradiente orografico come quello che corre fra le coste e le creste appenniniche di diverse regioni del centro-sud, ecc., il nostro territorio costituisce davvero un unicum per la caratterizzazione dei regimi climatici e dei fenomeni meteorologici.


Forse, proprio per questo, è stato studiato approfonditamente, nelle sue interazioni con i fenomeni naturali e i rischi associati, raggiungendo quindi un livello di conoscenza molto elevato, che cresce di continuo grazie all’utilizzo di tecnologie sempre più progredite.


FOMD: Di quali tipologie di rischio si occupa il Sistema di Allertamento Nazionale?


F.T.: Le attività del sistema di allertamento riguardano un ampio spettro di possibili situazioni di rischio. Per quanto riguarda i rischi meteo-idrogeologico e idraulico, vengono monitorate molteplici situazioni, che possono svilupparsi su scale spazio-temporali molto diverse tra loro. Si va dal monitoraggio di una singola cella temporalesca di ridottissima estensione spaziale e dalla durata limitata (un’ora o poco più), in grado però di provocare pericolosi allagamenti di strade e abitazioni o repentine esondazioni di torrenti, alla previsione di eventi a larga scala, come può essere una fase perturbata capace di innescare una piena del Tevere o del Po, ben predicibili anche con alcuni giorni di anticipo ma capaci di interessare porzioni molto vaste del Paese e di arrecare danni economicamente molto rilevanti, oltre che disagi gravi a un elevato numero di persone.


Ovviamente, il sistema di allertamento si occupa anche di tutte quelle situazioni intermedie che possono comunque portare a movimenti franosi o piene dei corsi d’acqua, oltre che di rischi associati ad altri fenomeni meteorologici, quali raffiche di vento, fulminazioni, mareggiate, nevicate, ondate di calore e di gelo. Lo scopo è quello di prevedere e ridurre al minimo tutti gli impatti che ne derivano, a partire da quelli sulle infrastrutture e sui servizi essenziali, oltre che sulla stessa popolazione.

FOMD: Se restringiamo il campo e ci concentriamo esclusivamente sui rischi provocati dalle condizioni meteorologiche avverse, in particolare dall’azione delle acque, che livello è stato raggiunto in Italia?


F.T.: In ambito di previsione e prevenzione dei rischi meteo-idrogeologici e idraulici, abbiamo compiuto un salto a dir poco macroscopico rispetto alla situazione esistente fino a meno di 15 anni fa.

La Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri nel 2004 ha, infatti, istituito la rete dei centri funzionali preposti alle attività di sorveglianza, vigilanza, previsione e valutazione per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico a fini di protezione civile, perno e cuore pulsante del Sistema di allertamento nazionale.

In più, a supportare le attività della rete, si affiancano diverse attività tecnico-scientifiche elaborate nel corso degli anni.


FOMD: Puoi farci qualche esempio?


F.T.: Ad esempio, seppur all’inizio degli anni 2000 eravamo fra i pochi paesi industrializzati a non averla, a oggi, il Paese è dotato di una rete nazionale di radar meteorologici all'avanguardia in Europa e nel mondo.


Sono stati, inoltre, integrati in un’unica banca dati, interrogabile in tempo reale, migliaia di sensori di pioggia e temperatura disseminati su tutto il territorio nazionale e gestiti da Enti diversi.

C’è poi la partecipazione del nostro Paese a consorzi e progetti internazionali di modellistica numerica e di prodotti satellitari...


FOMD: Quali sono i punti di deboli di questo sistema, se ce ne sono?


F.T.: Nell’ambito di questo complesso scenario di attività, l’anello su cui resta sicuramente più da fare, data la sua complessità e delicatezza, è quello che riguarda l’utilizzo delle previsioni di nowcasting e a brevissimo termine, cioè quelle riguardanti l’immediato, quello che avverrà nelle prossime ore o frazioni di ora.

Questa tipologia di previsioni permette di seguire e anticipare, seppur di poco, l’evoluzione di quei fenomeni tipicamente violenti, ma molto concentrati a livello di estensione e durata e con effetti al suolo, a loro volta, di tipo impulsivo e oltremodo devastante. Nonostante l’evolversi di queste situazioni possa essere descritta nel dettaglio solo a ridosso dell’evento stesso, il seppur ridotto preannuncio può essere comunque potenzialmente utile per mettere in atto misure, altrettanto immediate, di riduzione del rischio, soprattutto dal punto di vista di minimizzare il valore esposto al pericolo in termini di vite umane.


FOMD: Cosa manca ancora, secondo te, affinché le previsioni di nowcasting siano realmente di supporto a tutti gli utenti?


F.T.: In primis, bisogna costruire, e mantenere, un sistema per nulla banale che consenta la capillare e repentina comunicazione di queste informazioni all’utenza. Ma soprattutto, tutti gli anelli del sistema, compresi i cittadini, devono essere in grado di utilizzarle prontamente e consapevolmente. A maggior ragione, durante eventi bruschi ed improvvisi, i comportamenti del singolo individuo sono assolutamente cruciali, e possono letteralmente fare la differenza fra la vita e la morte.


FOMD: Sappiamo che è un argomento complesso e molto articolato. Riusciamo comunque a spiegare brevemente e in modo comprensibile a tutti come funziona il sistema di previsione del rischio?


F.T.: Quotidianamente, 365 giorni l'anno, sia a livello nazionale che regionale, vengono elaborati i bollettini di vigilanza meteorologica, in cui sono descritti i fenomeni meteorologici di rilievo a fini di protezione civile, e i bollettini di criticità riportanti gli scenari di rischio attesi secondo i “codici colore”. Questi prodotti sono pubblicamente disponibili rispettivamente sul sito web del Dipartimento nazionale e, con delle differenziazioni, sui siti delle Regioni e Province Autonome.


In caso di eventi intensi o severi, sia in termini di fenomeni meteorologici sia di potenziali impatti al suolo, vengono emessi messaggi straordinari di allerta. A livello nazionale (le varie allerte regionali vengono composte in un messaggio nazionale), il Dipartimento della Protezione Civile sintetizza i contenuti dell'allerta in un comunicato stampa, regolarmente pubblicato sul sito web del Dipartimento, oltre che diffuso alle agenzie e ripreso dalle testate.


Questo messaggio, di natura tecnica, viene trasmesso internamente agli enti e alle strutture competenti e non è rivolta al pubblico cittadino.



FOMD: E come avviene, quindi, la diffusione dell’allerta alla popolazione?


F.T.: La situazione è estremamente differenziata fra le varie Regioni e Province Autonome, motivo ulteriore questo per implementare standard nazionali sia per quanto riguarda le procedure e i metodi di elaborazione delle informazioni, sia per i meccanismi di diffusione e comunicazione delle stesse.


Alcune Regioni, ad esempio, hanno attivato un sito web specificatamente dedicato all'allertamento sul proprio territorio, appoggiandosi a piattaforme tipo GoogleMaps e rilanciando le informazioni sui propri canali social.


Altre Regioni, invece, danno notizia dell'allerta semplicemente con un comunicato testuale sul sito istituzionale della Regione stessa, riportandolo in homepage, all'interno della sezione news o all'interno di una sezione dedicata alla Protezione Civile Regionale.


FOMD: Naturalmente, l’emissione delle allerte di per sé non basta per tutelare la sicurezza dei cittadini...


F.T.: Ovviamente no. Su questo vorrei aprire un attimo una parentesi per mettere a fuoco un concetto fondamentale: l’emissione dell’allerta, specie in un Paese così complesso da un punto di vista della fragilità del territorio e degli ambiti urbani, è un provvedimento che, in previsione di fenomeni avversi, mira a rendere accettabile il rischio, vale a dire ad abbassare quest’ultimo sotto soglie di sostenibilità, attivando gli enti competenti con l’obiettivo di ridurre (ove possibile) la vulnerabilità e, soprattutto, limitare al massimo il valore esposto (beni e vite umane) ai fenomeni potenzialmente pericolosi, senza poter naturalmente intervenire sul verificarsi di questi ultimi (piogge, fulmini o venti che siano) ma puntando a ridurne gli impatti sul territorio e sulla popolazione.


Le allerte hanno dunque l’obiettivo fondamentale di minimizzare l’esposizione al pericolo dei beni della collettività e, a maggior ragione, delle vite umane, per quanto non possano azzerarla del tutto. Questo aspetto, assolutamente cruciale, se da un lato è a sua volta affrontato con misure preventive messe in campo dalle istituzioni (ad esempio sgomberando una strada, sbarrando un ponte, disponendo la chiusura delle scuole, evacuando dei seminterrati o piani bassi, ecc.) va però perseguito anche con il capillare contributo di tutte le altre componenti del servizio nazionale della protezione civile, a partire dai singoli cittadini. Questi ultimi devono maturare un atteggiamento consapevole e responsabile, oltre che assolutamente attivo, di fronte all’insorgenza di eventi avversi. In previsione di questi ultimi, devono porsi il problema di pianificare opportunamente le proprie attività per le ore o il giorno a venire, a partire dagli spostamenti, mentre durante gli eventi, e quindi di fronte al pericolo, devono essere in grado di attuare le famose norme di autoprotezione, apprese in “tempo di pace” che, nel momento dell’emergenza, possono fare la differenza fra la vita e la morte.


Ripeto un’altra volta: l’emissione dell’allerta non elimina il pericolo: un codice arancione o rosso non può certamente evitare che piova e, specie durante gli eventi violenti più bruschi e improvvisi, il tempo utile a intervenire è molto breve. L’acqua in un sottopassaggio o in un seminterrato può salire, ad esempio, di due metri in dieci minuti.


In molte situazioni è purtroppo possibile che le persone si trovino in situazioni di pericolo, prima ancora che la struttura di soccorso più efficiente riesca ad intervenire.


FOMD: E qui ci addentriamo nell’ambito relativo alla diffusione di una cultura del rischio meteo-climatico tra la popolazione.

Ritieni che la popolazione, ad oggi, abbia le conoscenze per interpretare correttamente i messaggi di allerta?


F.T.: Temo che la strada sia ancora lunga, purtroppo. In Italia, nella cultura di base, non abbiamo un sufficiente grado di conoscenza del rischio, e soprattutto di consapevolezza del medesimo. Dobbiamo agire con decisione da questo punto di vista: la conoscenza dei pericoli e la consapevolezza dei rischi legati agli eventi meteorologici e alla risposta del territorio, a partire da quelli relativi al ciclo dell'acqua, devono diventare argomento basilare di educazione e di formazione del cittadino, oltre che entrare di diritto fra gli argomenti di divulgazione generalista sui grandi mezzi di comunicazione.

Mi piace pensare a un Paese in cui, oltre a dare (giustamente) ai ragazzi gli strumenti e le conoscenze per sviscerare ed apprezzare ogni singola terzina di quel capolavoro immenso che è la Divina Commedia, si guidino le persone, fin dai percorsi scolastici, anche ad analizzare, con analoga passione, i singoli dettagli di quel patrimonio altrettanto inestimabile che è il nostro territorio e di quella disciplina semplicemente affascinante che è la meteorologia (peraltro – possiamo esserne orgogliosi - nata proprio in Italia, dal termometro di Galilei e dal barometro di Torricelli in poi). A maggior ragione, sono da approfondire quegli aspetti cruciali che riguardano la salvaguardia dei beni della collettività, dell’ambiente e della vita umana.


FOMD: Qual è la condizione necessaria affinché la popolazione sia preparata di fronte ai messaggi di allerta?


F.T.: Innanzitutto è indispensabile che i messaggi emessi dal Sistema nazionale di allertamento vengano correttamente interpretati e recepiti, senza distorsioni, ambiguità e “rumori” di qualsiasi genere, dalla popolazione, oltre che da tutte le altre componenti del Servizio Nazionale, a partire dalle autorità di Protezione Civile sul territorio, cioè i Sindaci di tutti i Comuni italiani.


Questo obiettivo coinvolge in primis complesse filiere procedurali e operative, il cui funzionamento è regolamentato da una precisa catena di responsabilità, a partire dalla quale vengono messe in atto una serie di misure come evacuazioni preventive, messa in sicurezza di beni e persone, chiusure di strade e ponti, governo delle piene, regolazione dei deflussi, ecc..


FOMD: Il corretto recepimento dei messaggi di allerta da parte della popolazione, in effetti, necessita dell’assimilazione di profonde dinamiche culturali, impossibili da introdurre semplicemente applicando una normativa, ma da raggiungere mediante processi educativi e formativi.


Hai parlato di “rumori” e distorsioni dei messaggi di allerta, a cosa ti riferisci?


F.T.: Penso, ad esempio, alla disordinata sovrapposizione fra le previsioni da un lato, elaborate da professionisti del settore e dall’altro diffuse (specie sui canali del web e dei social network ma purtroppo molto spesso rilanciate dai grandi mezzi di informazione), da una serie di soggetti - alcuni dei quali peraltro privi di una reale qualifica in materia - più votati a sfruttare la popolarità dell’informazione meteorologica che non a fornire informazioni scientificamente corrette.

L’informazione meteo, in questo caso, viene usata come procacciatrice di audience e veicolo di pubblicità e si tende perciò ad ingigantire e spettacolarizzare gli eventi con stratagemmi più o meno folcloristici, terminologia più o meno pacchiana, e toni sempre e comunque sopra le righe. Queste informazioni, comprese quelle divulgate a distanza di 10-15 giorni, se non addirittura di mesi, hanno l’attendibilità di un oroscopo e, creando allarmismi e preoccupazione ingiustificate o premature, hanno come unico scopo quello di spingere al click compulsivo.


FOMD: Quali sono le conseguenze di questo comportamento irresponsabile diventato, a quanto pare, una consuetudine?


F.T.: Questa anomalia, che in altri ambiti del sapere scientifico non esiste o è ridotta a fenomeni di nicchia, ha effetti devastanti dal punto di vista della cultura meteorologica e della credibilità stessa dell’informazione previsionale presso il grande pubblico. Viene a crearsi una “baraonda informativa” che assume connotati particolarmente gravi, soprattutto nel momento in cui si affianca alle informazioni commerciali, di nessun valore scientifico e deontologico, espressioni quali “attenzione”, “avviso”, allerta”, “allarme” o simili.


Ne consegue una pericolosa confusione fra i messaggi istituzionali di allertamento emessi dal Sistema di Protezione Civile e le notizie divulgate da soggetti privati, liberi da qualsiasi responsabilità civile e penale per l’emissione di falsi o mancati allarmi.


Si va quindi a creare una situazione molto fuorviante che rischia di pregiudicare fortemente proprio la sensibilità e la fiducia della popolazione rispetto alle attività del sistema di allertamento. In questo, credo sia importante richiamare il mondo dell’informazione al forte ruolo di servizio e di responsabilità etica che le compete, facendo maggiore attenzione - laddove sia il caso - alle informazioni meteorologiche che si presta a rilanciare a milioni di persone.


FOMD: Ci sono altre problematiche riguardanti il recepimento dei messaggi di allerta?


F.T.: Naturalmente. Tra tutti, un altro aspetto molto penalizzante riguarda la mancanza di una cultura probabilistica, indispensabile per maturare un’adeguata consapevolezza del rischio.


Non bisogna dimenticare che si ha pur sempre a che fare non con certezze ma con previsioni, scenari, ipotesi – più o meno probabili ma pur sempre ipotesi - sull’insorgenza e sull’evoluzione di eventi avversi. Nonostante l’incertezza, queste informazioni ci possono mettere in condizioni di abbassare il livello di rischio cui siamo sottoposti.


FOMD: E questo è particolarmente vero in ambito meteorologico...


F.T.: Sì, in altri campi scientifici siamo molto più abituati e preparati a gestire l’incertezza, si pensi a quello della medicina, in cui accettiamo di prendere provvedimenti preventivi, che ci costano magari anche molto, in termini economici o di rinunce personali. Ci sopponiamo a cure, programmiamo accertamenti periodici, cambiamo i nostri stili di vita e i nostri regimi alimentari senza che nessun medico al mondo sia in grado di dirci con esattezza che: “date queste analisi, se non cambi abitudini ti verrà un infarto alle 15.12 del 15 ottobre 2023”, o “prendendo questo farmaco, il suo colesterolo scenderà di 53 mg/dl nei prossimi 92 giorni”.


In medicina questo aspetto probabilistico lo accettiamo senza colpo ferire, e passeremmo anzi per matti nel pretendere certezze assolute, cosa che invece siamo portati automaticamente a fare quando si parla del rischio di essere colpiti da un fulmine, o di trovarci bloccati dalla neve, o di finire sotto una frana o una alluvione.


FOMD: Cosa possiamo noi, in prima persona, da cittadini appartenenti ad una comunità?


F.T.: Dai meteorologi pretendiamo informazioni deterministiche: data, luogo e ora di un evento. Bolliamo come falso allarme un temporale non verificatosi sulla nostra testa, quando magari ha colpito il comune a fianco al nostro senza considerare che, in sede di previsione, non era possibile discriminare questo dettaglio. Oppure riteniamo un mancato allarme qualsiasi fenomeno non avvenuto esattamente a quell’ora, in quel luogo, e con quell’intensità.


E’ cruciale, per arrivare a un’efficiente capacità di risposta alle previsioni di eventi avversi, che nella cultura di base venga compreso il concetto del mettersi in sicurezza in modo preventivo rispetto a uno scenario probabilistico: laddove più è alta la posta in gioco (per esempio la nostra vita), più si abbassa la soglia di probabilità con cui dobbiamo essere disposti ad accettare di correre quel rischio. Bisogna quindi mettere in conto che l’evento non si verifichi, o avvenga in un luogo diverso da casa nostra, giacché questo lo possiamo scoprire solo a posteriori.

FOMD: In conclusione, come ci invita a riflettere il WMO con il tema di quest’anno, possiamo affermare che la costruzione della consapevolezza del rischio, è il primo passo per farci trovare “Weather-ready”, ovvero meteorologicamente pronti ad affrontare i rischi connessi ai fenomeni meteorologici avversi?


F.T.: Assolutamente, finché non mettiamo le fondamenta di questa cultura, anche l’operato delle istituzioni e delle autorità di protezione civile, a partire quindi dai nostri Sindaci, dovrà faticare molto, nel rapportarsi con una errata percezione del rischio, e continuerà ad avere molte difficoltà nel giustificare e nello spiegare (e quindi anche nel prendere) i provvedimenti di prevenzione, che creano inevitabilmente disagi e fastidi, ma servono a rendere il rischio accettabile sotto determinate soglie di sostenibilità.


Per dirla in una frase, collaborazione con le istituzioni, senso di responsabilità e conoscenza delle norme di autoprotezione devono essere alla base del tessuto sociale.


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