Uno sguardo globale per non prendere abbagli
- Antonello Pasini
- 24 giu
- Tempo di lettura: 4 min

di Antonello Pasini
Fisico climatologo CNR
Docente di Fisica del clima all’Università Roma Tre
Direttore scientifico della Fondazione Osservatorio Meteorologico Milano Duomo ETS
Voi che leggete questa rubrica siete sicuramente amanti della meteorologia e magari alcuni possiedono anche una stazione meteorologica personale con la quale misurano l’andamento dei vari parametri meteo con grande risoluzione temporale. Tutto ciò è molto interessante e importante, da un lato perché consente di percepire variazioni che possono essere “segnali premonitori” di cambiamenti più importanti nel breve periodo (per fare previsioni a più lunga scadenza ovviamente occorrono i modelli meteorologici). D’altro lato, queste informazioni, se archiviate, vanno a costituire un data base di misure che nel lungo periodo può dare informazioni sui cambiamenti del clima locale.

Ma, così come per l’attività di previsione a brevissima scadenza aiuta molto avere accesso ai dati di una rete di stazioni vicine, perché in tal modo si può avere una visione di area e si percepisce prima l’arrivo di determinate configurazioni e fenomeni, anche per la comprensione dei cambiamenti climatici occorre allargare lo sguardo nello spazio (e, ovviamente, nel tempo). Se ci si limita a osservazioni e misure locali, infatti, spesso si rischia di non cogliere determinati cambiamenti.
Cerco di spiegarmi con un esempio. Chi possiede dati della propria stazione locale per un lungo periodo di tempo (possibilmente un trentennio, come consiglia l’Organizzazione Meteorologica Mondiale – OMM) si sarà sicuramente accorto di un aumento considerevole delle temperature, sia medie che massime e minime. Per quanto riguarda le precipitazioni, i cambiamenti sono meno evidenti nei dati, soprattutto sull’Italia settentrionale. Pur nella difficoltà di fare statistiche su una variabile che non è continua come la temperatura ma che invece è molto erratica, qualche considerazione si può fare. In generale, al nord Italia la quantità annua di precipitazione sembra quasi invariata, mentre al sud, e in parte al centro, si nota una lieve diminuzione annua con una diversa distribuzione: meno giorni piovosi ma con piogge più intense nei singoli giorni. In realtà l’analisi dati della rete della nostra Fondazione, elaborati all’interno del Progetto ClimaMi, mostra cambiamenti simili anche in alcune zone della Lombardia, più nello specifico a Milano e nel bacino aerologico milanese.
In questa situazione, chi vivesse in certi luoghi del nord Italia e si limitasse ai dati della propria stazione non riuscirebbe a cogliere un cambiamento che in altre zone italiane comincia a essere in atto e che in futuro potrebbe giungere anche lì. Dal punto di vista del dibattito sul clima, occorre allora diffidare di chi espone dati locali come controesempio per confutare il cambiamento climatico recente. Si tratta di “cherry picking”: come quando un amico vi invita a raccogliere le ciliegie dal proprio albero e c’è sempre chi sceglie solo quelle che gli piacciono di più, così qui si scelgono i pochi dati che fanno comodo per avvallare una propria opinione, trascurando tutti gli altri, che sono immensamente di più e che invece la confutano in maniera schiacciante.
Insomma, occorre allargare lo sguardo. Ma, per capire cosa stia accadendo al clima oggi, quanto largo deve essere? Ebbene, dobbiamo avere uno sguardo che copra tutto il pianeta, cioè globale. Cerchiamo di comprendere perché.
Sappiamo che negli ultimi 2.000 anni ci sono stati periodi di optimum climatico con la temperatura piuttosto elevata e periodi più freddi: tra i primi si citano spesso quello dell’Impero Romano e quello medievale. Il riscaldamento recente è dunque solo un altro episodio di questo tipo, magari guidato da cicli naturali? Se allarghiamo lo sguardo a tutto il pianeta, gli occhiali della scienza ci danno una chiara risposta.
Ovviamente così indietro nel tempo non abbiamo le dettagliate misure che ci forniscono oggi i termometri, ma possediamo tanti metodi indiretti per stimare la temperatura: dalle carote di ghiaccio ai sedimenti marini e lacustri, dalle stalattiti e stalagmiti ai pollini fossili, fino ai coralli e agli anelli degli alberi. Ebbene, oggi esiste un progetto e una rete di ricercatori chiamati Pages 2K con cui si sono ottenuti recentemente dati di temperature stimate negli ultimi 2.000 anni su tutto il globo, con una buona risoluzione spaziale e temporale. In questi dati si vede chiaramente che i riscaldamenti romano e medievale sono avvenuti in certe zone del globo, come l’Europa, ma altrove accadeva qualcosa di assolutamente diverso; il riscaldamento dell’ultimo secolo, invece, è globale: avviene nel 98% della superficie terrestre.
Mentre la situazione climatica sulla Terra durante i primi due eventi era assolutamente compatibile con una variabilità naturale del clima, con una situazione di caldo/freddo a macchia di leopardo sul pianeta, oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno ubiquitario e sincrono, cioè che avviene dappertutto e nello stesso momento. E questo non è compatibile con una variabilità naturale del clima, ma deve essere causato da qualcosa che “forza” il clima a cambiare dovunque e tutto insieme: oggi sappiamo cos’è.
Insomma, quando sentite qualcuno dire che periodi caldi ci sono sempre stati, invitatelo ad avere uno sguardo globale per non prendere abbagli. Oggi sta accadendo qualcosa di molto diverso. E, ancora una volta, gli occhiali della scienza ci permettono di averne una percezione corretta.
P.S.: per approfondire e ottenere uno sguardo globale sul clima, vi consiglio la visione di questo mio video per ANSA – Canale Scienza e Tecnica: https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/terra_poli/2020/03/27/scienzainvideo-annibale-erik-il-rosso-e-il-riscaldamento-globale-lezione_dd01193b-0398-45fc-8c1c-daf31901cdbf.html
Comentários