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  • Pamela Turchiarulo

Quando il tempo prende… In castagna!


Con il suo color marrone, i suoi ricci e il suo inconfondibile profumo quando viene arrostita, la castagna è uno dei simboli indiscussi dell’autunno. Alzi la mano chi non ha almeno un ricordo di sé stesso da bambino intento a sbucciare gusci roventi passeggiando in una fredda giornata autunnale. Le castagne rappresentano indiscutibilmente parte del patrimonio culturale ed enogastronomico della nostra Penisola, complici le condizioni climatiche favorevoli, che ne determinano, un po’ da nord a sud, la massiccia presenza nei nostri boschi. Non a caso Giovanni Pascoli definiva il castagno ‘l’italico albero del pane’, poichè il suo frutto, detto ‘il pane di montagna’, è stato a lungo alla base dell’alimentazione di gran parte della popolazione contadina del nostro paese, sebbene il primo ad attribuirgli tale epiteto sembra essere stato addirittura Senofonte, nel lontano IV secolo a. C.

Le origini del castagno sono, in effetti, antichissime: esteso nell’areale europeo già prima dell’ultima glaciazione, la sua presenza si ridusse in seguito, con l’affermazione dei ghiacci, ad una zona remota dell’Asia minore. Si deve a Greci, Etruschi e Romani la sua successiva reintroduzione nella fascia mediterranea, dove la coltivazione raggiunse il massimo sviluppo nel periodo medievale, in particolare nelle zone montane dove più difficile era la produzione del frumento.

Alto fino a 30 metri e longevo fino a mille anni il castagno è una pianta eliofila, cioè amante della luce solare, che vegeta spontaneamente su terreni acidi in boschi puri, i castagneti, o misti di latifoglie, ad altitudini comprese tra i 200/300 metri e fin oltre i 1300 metri di quota, prediligendo le esposizioni a nord e le zone piuttosto umide. Le castagne sono il frutto del castagno selvatico e crescono all’interno di ricci, ognuno dei quali può contenere generalmente fino a sei o sette frutti, viceversa i marroni derivano da alberi coltivati e ogni riccio ne racchiude solitamente non più di tre. Le castagne sono piccole, hanno la buccia bruno scura, si presentano più schiacciate da un lato e più tondeggianti dall’altro e possiedono una pellicola al di sotto del guscio, che penetra in profondità nell’interno della polpa, in qualche caso fino a dividerla, nel qual caso si parla di frutti settati; i marroni sono invece più grandi, hanno una buccia più chiara e striata e una forma che ricorda quella di un cuore.

In Italia, le regioni maggiormente interessate dalla presenza di castagni selvatici sono il Piemonte, la Toscana, la Campania e la Calabria, mentre più ristrette sono le aree dedicate alla produzione dei marroni, essenzialmente riconducibili ad alcune zone del torinese, del cuneese, del viterbese e dell’Appennino tosco-romagnolo.

Da un punto di vista climatologico, i castagni crescono tipicamente in zone con temperature medie annue comprese tra gli 8 e i 15 °C, la qual caratteristica rende la loro zona di diffusione quasi sovrapponibile a quello della vite, mentre possono venire gravemente compromessi da temperature invernali inferiori ai -15/-17 °C, così come, in estate, da periodi prolungati di caldo molto intenso; risultano inoltre particolarmente sensibili ai ritorni di freddo primaverili, specie per quanto riguarda gli individui giovani, su cui i danni da gelate tardive sono molto frequenti. Sotto il profilo pluviometrico, gli alberi di castagno richiedono precipitazioni medie non inferiori ai 700 mm/anno, con una distribuzione delle piogge ripartita su più mesi e non concentrata in una singola stagione, condizioni alle quali, nel caso di alberi coltivati, si può eventualmente sopperire con l’ausilio di impianti di irrigazione. Così, la grandezza e l’aspetto delle castagne sono fortemente influenzati dalla maggiore o minore piovosità di ogni singola annata: se l’estate è particolarmente povera di precipitazioni, vi è infatti il grosso rischio che i ricci possano cadere dagli alberi molto piccoli e rinsecchiti ed anche i frutti al loro interno risulteranno in tal caso di scadente qualità; viceversa un’estate piovosa garantisce in genere una migliore crescita del riccio e, conseguentemente, castagne di migliore qualità.

La combinazione di condizioni di deficit idrico ed alte temperature, che in tempi recenti ha raggiunto i suoi massimi livelli nella famigerata estate del 2003, ma che frequentemente si è ripresentata anche negli anni successivi, rappresenta uno degli stress abiotici più severi per i castagni, in particolare per gli alberi isolati o situati ai margini del bosco, più esposti dunque all’irraggiamento solare e più soggetti alla perdita di acqua tramite evapotraspirazione per effetto del vento. Ma se la siccità estiva, specie in virtù della frequenza con cui si è presentata nel corso degli ultimi decenni, sembrerebbe in prospettiva rappresentare uno dei pericoli maggiori per la produzione delle prossime annate, non da meno anche nebbie persistenti e una piovosità eccessiva nei mesi di giugno e luglio, come accaduto nella recente estate del 2014, possono creare un forte ostacolo all’impollinazione ed incidere negativamente sulla fruttificazione.

Come se non bastasse, a toglierci letteralmente le castagne dal fuoco, negli ultimi anni è intervenuta anche l’invasione di un parassita cinese, il cinipide o vespa del castagno, insetto fitofago che attacca i germogli delle piante, arrestandone la crescita vegetativa e provocandone una riduzione della fruttificazione quando non addirittura il totale deperimento. Dopo aver fatto la sua prima comparsa in Europa nel 2002, il cinipide si è diffuso di seguito molto rapidamente, complice l’assenza nell’ambiente di nemici naturali. Per tale motivo, negli anni successivi, è stata messa in atto una vera e propria guerra al parassita attraverso l’introduzione in natura di un insetto antagonista, che, nutrendosi delle larve del cinipide, ne avrebbe frenato la diffusione. Sebbene tale intervento abbia, in effetti, evidenziato localmente dei buoni risultati, il clima non particolarmente collaborativo delle ultime stagioni estive, ha reso in ogni caso spesso vano il tentativo di salvaguardare l’annata del frutto icona per eccellenza della stagione autunnale.

Così, se da una parte è davvero difficile immaginarsi un autunno senza castagne, dall’altra sembra che anche quest’anno il raccolto italiano sia destinato a lasciare molti a bocca asciutta, a causa dell’invasione parassitaria al sud e della siccità estiva che ha interessato nel 2016 molte zone del nord, dove di contro la lotta al cinipide stava cominciando a dare risultati apprezzabili.

Quel che è peggio è che, alla luce del probabile aumento in futuro degli estremi climatici, quali la siccità estiva e in considerazione dell’effetto secondario che lo stress da siccità ha sugli attacchi parassitari, rendendo gli alberi più vulnerabili a questi ultimi, le prospettive anche per l’avvenire non sono al momento troppo confortanti.

Rassegnarsi dunque a diventare esterofili o ad assaggiare qualche manciata delle poche castagne autoctone, vendute a prezzi non esattamente economici per strada o sugli scaffali dei supermercati? Nel dubbio, il consiglio rimane quello di una bella scampagnata nei boschi in cerca di fortuna, così, anche qualora il bottino non fosse quello sperato, ci si potrà certamente consolare al pensiero di averne guadagnato in salute. E in portafoglio.

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